Roma, 2 luglio 2025 – Il recente testo base sul fine vita, adottato dal Parlamento in risposta alla sentenza n. 242/2019 della Corte Costituzionale, ha suscitato forti critiche da parte della Fondazione Gimbe. Secondo il presidente Nino Cartabellotta, la proposta di legge non rispetta pienamente quanto stabilito dalla Consulta e rischia di limitare l’accesso alle pratiche di fine vita, trasformando un diritto in un privilegio riservato a pochi.
Critiche al testo sul fine vita: barriere eccessive e centralizzazione decisionale
Il principale nodo evidenziato da Gimbe riguarda la centralizzazione delle decisioni in un Comitato nazionale di valutazione, nominato dal Governo e privo di garanzie di terzietà, che deve esprimere un parere entro 60 giorni, prorogabili fino a 120 nei casi complessi. Questo meccanismo, secondo Cartabellotta, rappresenta “una forma di accanimento burocratico verso la sofferenza umana” e risulta incompatibile con la condizione di molti pazienti terminali, per i quali le scelte di fine vita sono urgenti e personali. Inoltre, l’obbligo di attendere almeno 180 giorni per ripresentare la richiesta in caso di parere negativo, subordinandolo alla prova del mutamento delle condizioni cliniche, costituisce un ulteriore freno che rischia di negare di fatto un diritto sancito dalla Consulta.
Cure palliative obbligatorie e barriere economiche
Un altro punto critico riguarda l’imposizione per il paziente di essere inserito in un percorso di cure palliative, non previsto dalla sentenza della Corte Costituzionale. Secondo Gimbe, ciò “subordina l’autodeterminazione all’accettazione di un trattamento sanitario, limitando la libertà di scelta del paziente”. Inoltre, il testo esclude esplicitamente l’utilizzo di personale, farmaci o strutture del Servizio Sanitario Nazionale per agevolare il suicidio medicalmente assistito, creando così “un’inaccettabile barriera economica” che rende il diritto accessibile soltanto a chi può permetterselo. Questa esclusione, sottolinea Cartabellotta, rischia di aprire la strada a un mercato privato della morte dignitosa, escludendo le persone meno abbienti.
Fondazione Gimbe definisce la proposta di legge una normativa che “lungi dal dare attuazione alla sentenza della Consulta, di fatto la svuota”, richiedendo un dibattito parlamentare che porti a una sostanziale modifica del testo.
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