Si è conclusa con il trasferimento in carcere la vicenda giudiziaria legata al femminicidio di Sadjide Muslija, la donna di 49 anni trovata morta nella sua abitazione a Pianello Vallesina di Monte Roberto, nelle Marche. Il marito, Nazif Muslija, 50enne operaio macedone, sospettato di averla uccisa a colpi di tubo di ferro, è stato dimesso dall’ospedale Torrette di Ancona e portato nella casa circondariale di Montacuto, dove è ora in attesa della convalida del fermo disposto dalla Procura di Ancona.
La dinamica del femminicidio nelle Marche e il ritrovamento dell’uomo
Il dramma si è consumato nella mattinata del 3 dicembre, quando i carabinieri sono intervenuti su segnalazione del datore di lavoro di Sadjide, preoccupato per la sua assenza sul posto di lavoro. La donna è stata trovata senza vita, con evidenti segni di violento pestaggio sul corpo e ferite gravi al cranio e al torace. L’arma del delitto potrebbe essere un tubo di ferro da cantiere, rinvenuto vicino all’abitazione e sequestrato per le analisi scientifiche.
Il marito, irreperibile da quel momento, è stato ritrovato in una zona impervia di Braccano, nel territorio di Matelica (provincia di Macerata), riverso a terra e gravemente ferito dopo un tentativo di suicidio. A salvarlo è stato un cacciatore che ha allertato i soccorsi. Trasportato in ospedale, è stato dimesso in serata e subito trasferito in carcere, assistito dal servizio medico penitenziario.
Precedenti e criticità nel sistema di tutela
La tragica vicenda ha evidenziato gravi falle nel sistema di prevenzione e protezione delle donne vittime di violenza. Sadjide era da almeno due anni vittima di maltrattamenti da parte del marito, che aveva denunciato ripetutamente. Nel gennaio scorso, infatti, Nazif Muslija era stato arrestato per maltrattamenti domestici dopo aver sfondato con un’ascia la porta della camera da letto della moglie e minacciandola di morte. Nonostante la condanna a un anno e dieci mesi, l’uomo era tornato in libertà con la condizione di seguire un percorso riabilitativo per uomini maltrattanti.
Tuttavia, secondo quanto denunciato dal legale di Muslija, l’avvocato Antonio Gagliardi, il percorso non è mai iniziato a causa della mancanza di posti nelle strutture dedicate, con l’Ufficio Esecuzione Penale Esterna (Uepe) di Ancona che aveva programmato l’avvio solo per la primavera successiva. “Questa è una falla del sistema – ha dichiarato l’avvocato – i tempi sono troppo lunghi, e la riprova è in quello che è accaduto.” Anche la procuratrice di Ancona, Monica Garulli, ha confermato che la mancata presa in carico dell’uomo rappresenta una “criticità sulla quale bisogna riflettere”, pur sottolineando che ciò non esclude le responsabilità dirette del condannato.
Nonostante la riconciliazione e la convivenza forzata per motivi economici legati al mutuo sulla casa, testimonianze raccolte indicano che Sadjide era terrorizzata dal marito e viveva in una sorta di separazione di fatto, condizione che purtroppo non l’ha tutelata.






