Cosa succede nei centri per i profughi in Libia

Si parla di hotspot e centri all’avanguardia, ma la realtà attuale è un’altra

CRONACA (Sicilia). Sono giorni forse decisivi per i migranti africani che vedono nell’Europa la loro salvezza.
Mentre, infatti, a Bruxelles si discute alacremente, dopo le barriere alzate dall’Italia dal caso della nave Aquarius in poi, e la nave Ong Lifeline attende di attraccare a Malta, esperti e diplomatici si appellano a una ridiscussione dei trattati di Dublino, giudicati ormai da poli bipartizan anacronistici rispetto alle esigenze che l’emergenza immigrazione porta oggi con sé.
Il ministro degli Interni italiano, Matteo Salvini, ha incontrato proprio nelle scorse ore a Tripoli i rappresentanti del governo libico, con i quali – dopo un tam tam di dichiarazioni controverse – sembra aver raggiunto una posizione comune che vuole la creazione di “hotspot” per migranti a sud dei confini della stessa Libia.
Non solo. Salvini si è anche recato in un centro di accoglienza in costruzione proprio a Tripoli, dichiarando che “è necessario smontare le leggende delle torture nei confronti dei profughi, i centri sono di nuova generazione e all’avanguardia”.
Vero o no, l’auspicio è quello di appurarlo quanto prima, magari in concomitanza con una soluzione stabile abbracciata dagli stati europei.
Nel frattempo, al termine della scorsa estate, quando ancora a capo del Viminale vi era l’ex ministro Marco Minniti e tanto ci si interrogava sull’ improvviso blocco degli sbarchi sulle coste italiane, la nostra redazione ha voluto vederci chiaro e, a bordo del camper di Medu, ci siamo recati all’esterno del Cara di Mineo, lo Sprar di Ispica, il porto di Pozzallo e il Cas di Modica per ascoltare le parole di chi l’Italia, a bordo di quei barconi, l’ha raggiunta, ma che ha ancora marchiati sulla pelle e sul cuore i giorni vissuti proprio nei centri di raccolta profughi libici.
Centri che all’avanguardia, evidentemente, avevano molto poco. (Noemi La Barbera/alaNEWS)

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