Firenze, 20 novembre 2025 – La nuova udienza davanti alla Corte d’Appello di Firenze segna un passaggio decisivo nella lunga vicenda legata all’espulsione di Alma Shalabayeva e della figlia di sei anni, avvenuta nel 2013. I giudici hanno infatti confermato le condanne per i cinque agenti e funzionari della questura di Roma coinvolti nel rimpatrio, mantenendo inalterato l’impianto della sentenza di primo grado emessa a Perugia. L’unica modifica riguarda l’interdizione dai pubblici uffici, ridotta da permanente a cinque anni.
Le condanne e la decisione dei giudici
Nel dettaglio, la Corte ha ribadito i cinque anni di reclusione inflitti agli ex responsabili della squadra mobile e dell’ufficio immigrazione, Renato Cortese e Maurizio Improta, così come ai funzionari Luca Armeni e Francesco Stampacchia. Confermata anche la pena a quattro anni per Vincenzo Tramma, all’epoca in servizio all’ufficio immigrazione. Tutti gli imputati dovranno sostenere le spese processuali e rispondere delle richieste di risarcimento avanzate dalla parte civile. Il procuratore generale Luigi Bocciolini aveva chiesto l’assoluzione, ma la Corte ha scelto un’altra strada, riservandosi di depositare le motivazioni entro novanta giorni.
La reazione di Alma Shalabayeva
All’uscita dall’aula, Alma Shalabayeva ha definito la pronuncia “una decisione giusta”, pur riconoscendo la difficoltà di un verdetto che coinvolge altri funzionari dello Stato italiano. Ha voluto ringraziare chi, negli anni, ha creduto alla sua versione dei fatti e l’ha sostenuta nei passaggi più complessi del percorso giudiziario.
Le parole della famiglia e il contesto politico
Marc Comina, portavoce della famiglia, ha commentato con toni duri la sentenza, ricordando come nel 2013 la donna fosse esposta a rischi concreti a causa delle persecuzioni politiche in Kazakistan. Ha criticato l’atteggiamento degli agenti coinvolti, ritenendo che non abbiano voluto riconoscere la natura autoritaria del regime kazako e sostenendo che questa sottovalutazione abbia aggravato la vicenda. L’episodio risale alla fine di maggio 2013, quando Shalabayeva e la figlia furono allontanate dall’Italia con una procedura che ora la giustizia italiana ha ritenuto illegittima, configurando il reato di sequestro di persona.






