L’avvocato e professore universitario Carlo Taormina è una figura centrale e controversa nel panorama giuridico e politico italiano. La sua lunga carriera professionale lo ha portato a difendere esponenti di spicco della Prima Repubblica, capi mafiosi e imputati in alcuni dei casi di cronaca più noti.
Taormina ha conseguito la laurea in giurisprudenza all’Università La Sapienza di Roma, divenendo prima avvocato e poi magistrato, prima di tornare alla professione forense. Egli conserva ancora oggi la sua cattedra di diritto processuale penale. L’intervista a Gurulandia offre uno spaccato profondo della sua visione rigorosa della professione e delle sue esperienze, dalle aule di giustizia ai corridoi del potere. Carlo Taormina ha passato personalmente “un sacco di guai”, inclusi 13 anni sotto scorta, e ha subito l’incendio della sua casa.
I casi emblematici e la filosofia difensiva di Carlo Taormina
La lista dei clienti difesi da Carlo Taormina è eccezionalmente vasta e copre momenti cruciali della storia italiana. Tra i casi che hanno avuto maggiore esposizione mediatica si annoverano la strage di Ustica, in cui difese gli ufficiali accusati di aver nascosto elementi utili a stabilire le cause dell’incidente, l’eccidio delle Fosse Ardeatine, difendendo l’ex capitano delle SS Erich Priebke, il delitto di Cogne (Annamaria Franzoni), e l’omicidio di Yara Gambirasio (presentando come privato cittadino un’istanza di riesame del DNA per Massimo Giuseppe Bossetti).
È stato inoltre legale di figure politiche di altissimo livello come Silvio Berlusconi, Bettino Craxi, Giulio Andreotti, e ha difeso quasi tutti i ministri della Prima Repubblica (come Forlani, Gava e Prandini). Carlo Taormina ha anche rappresentato importanti capi mafiosi, inclusi Brusca, Liggio, Greco e Graziano. Nonostante la notorietà di questi nomi, egli sottolinea che i processi più sfidanti non sono necessariamente quelli mediatici, come Cogne o Ustica, ma quelli che richiedono una profonda preparazione tecnico-giuridica e scientifica.
Per un avvocato e professore come Carlo Taormina, i veri processi nei quali ci si misura sono spesso quelli che “non conosce nessuno”. Riguardo alla scelta di difendere anche figure controverse come Priebke (nonostante il padre di Carlo Taormina fosse un ebreo che nascose 17 ebrei durante la guerra), egli sostiene un concetto rigoroso della professione: ha “sempre difeso e difenderà tutti”. Egli sottolinea che la distanza professionale dal cliente si mantiene attraverso il pagamento della parcella, un elemento fondamentale per evitare di essere stritolati nella logica dell’imputato.
La trattativa Stato-Mafia e le critiche al sistema giudiziario
Le esperienze di Carlo Taormina lo hanno reso un “testimone oculare” dei rapporti tra Stato e criminalità organizzata. Egli afferma con convinzione che la trattativa Stato-Mafia c’è stata e che l’attuale assenza di omicidi di mafia “per strada” è il risultato di un patto. A suo avviso, la criminalità organizzata aveva vinto ed era arrivata a un punto in cui “lo Stato stava per essere soverchiato”.
Sostiene, inoltre, che i bilanci dello Stato italiano sono “gonfiati” dai soldi del crimine, in particolare dalla droga, che finisce in imprese e finanziamenti. Riguardo ai politici da lui difesi, ha espresso grande amicizia per Bettino Craxi, definendolo un “grandissimo uomo politico” dotato di intelligenza superiore, sebbene cinico, una caratteristica che considera essenziale per un “uomo politico vero”. Anche Giulio Andreotti era un cinico, ma una persona molto diversa da come appariva, abituato a consultarsi prima di agire. Sul piano della giustizia, Carlo Taormina è estremamente critico: egli ritiene che la legge “non è uguale per tutti”, specialmente per i magistrati, che formano una “casta” che si protegge a vicenda in un sistema in cui “nemox in causa propria” non è applicato.
Egli denuncia il “livello così basso della magistratura” attuale e sostiene che l’unico modo per controllare questa casta, oramai autoreferenziale, sia il giornalismo d’inchiesta. Infine, ha denunciato penalmente l’ex Presidente del Consiglio Conte e l’ex Ministro Speranza per la gestione del Covid-19, ritenendo che avrebbero dovuto imporre il lockdown molto prima, sapendo della gravità della situazione già a dicembre 2019.






