Presidio per prima udienza processo contro Pelletterie Richemont
“Mai più schiavi”, “Basta lavoro 12 ore”. Rumoroso presidio davanti al negozio Montblanc di via Tornabuoni a Firenze, degli ex lavoratori Z Production di Campi Bisenzio, ditta che produceva in appalto esclusivo per la griffe della moda, di proprietà del fondo finanziario Richemont. Una protesta in occasione della prima udienza, davanti al tribunale del lavoro di Firenze, del processo avviato dopo il ricorso promosso da sei operai pakistani, appoggiati dal sindacato Sudd Cobas e dalla campagna nazionale Abiti puliti, contro la Pelletteria Richemont Firenze di Scandicci, incaricata di gestire l’esternalizzazione della produzione di borse Montblanc. Con il ricorso, spiegano dal sindacato, viene chiesto alla sezione lavoro del tribunale di Firenze di accertare che quello tra Z Production e Pelletteria Richemont non era un appalto genuino, e di riconoscere i lavoratori come dipendenti diretti, con conseguente annullamento del licenziamento e reintegro nella sua filiera. “Speriamo di trovare un giudice coraggioso perché di fatto non ci sono leggi che tutelano i lavoratori delle filiere della moda”, dice Francesca Ciuffi, coordinatrice Sudd Cobas, ricordando “i turni di 12 ore al giorno per 6 giorni alla settimana, il lavoro nero e i finti contratti part-time, le paghe da 3 euro l’ora per produrre borse vendute anche a 3.000 euro”. Quando poi i lavoratori hanno deciso di sindacalizzarsi, “conquistando le 8 ore lavorative per 5 giorni, sottoscrivendo un accordo di regolarizzazione con la Z Production, meno di un mese dopo, Richemont ha interrotto l’appalto, aprendo la strada al loro licenziamento arrivato nell’ottobre 2024 dopo un anno di ammortizzatori sociali” conclude Ciuffi. Deborah Lucchetti, coordinatrice nazionale della campagna ‘Abiti puliti’ contro lo sfruttamento dei lavoratori nel settore tessile: “Il caso di Montblanc è esemplificativo di un sistema perché c’è uno sfruttamento della filiera del lusso in Toscana, ma anche in Lombardia. Il problema è diffuso a macchia di leopardo in tutti i distretti italiani che si occupano di moda. I grandi marchi committenti impongono regole commerciali e pratiche di acquisto capestro che costringono i fornitori a ricorrere al subappalto, laddove non ci sono più diritti né rispetto dei contratti collettivi nazionali di lavoro, ci sono orari estenuanti di lavoro e condizioni di schiavitù e salari da fame”.





