In un’intervista esclusiva, Roberto De Zerbi si racconta ad Alessandro Cattelan con sincerità e senza filtri, offrendo una prospettiva unica sul proprio percorso umano e professionale, sul calcio contemporaneo e sulle sfide fuori dal campo. L’allenatore, noto per la sua coerenza e il suo carattere forte, rompe un lungo silenzio mediatico per affrontare temi spesso fraintesi e per ribadire il valore di un approccio umano al calcio
La coerenza e l’umanità nel calcio: il pensiero di De Zerbi
Ai microfoni del podcast di Alessandro Cattelan, l’allenatore Roberto De Zerbi si definisce distante dall’etichetta di “filosofo” applicatagli da molti, sottolineando come spesso la sua immagine sia stata distorta: «Mi hanno fatto passare per quello che non sono. Sono tutto tranne che filosofo, e sono stato spesso in conflitto perché dico quello che penso con forza». L’allenatore non teme di sperimentare tattiche difensive estreme, come schierare due portieri negli ultimi minuti di una partita, dimostrando una flessibilità tattica che contrasta con l’idea di un integralismo calcistico.
Un punto centrale del suo discorso è la gestione umana dei calciatori. “Non si può trattare tutti allo stesso modo”, afferma, evidenziando l’importanza di rispettare la storia e la sensibilità di ogni giocatore, in base all’età e al carattere. Questa capacità di empatia, spiega De Zerbi, nasce dalla sua naturale inclinazione e da uno studio costante delle dinamiche umane, più che da tecnicismi o teorie classiche.
Il suo rapporto con i giocatori va oltre il campo: «Parliamo anche di cose che esulano dal calcio perché voglio che siano partecipi di ciò che accade attorno a loro». Ricorda con emozione le riunioni tenute per spiegare la figura di Maradona o per riflettere sulla morte di Papa Francesco, sottolineando la sua attenzione a formare non solo atleti, ma persone consapevoli.
Il silenzio mediatico e la difesa della propria identità
Dopo due anni e mezzo di assenza dagli intervistati italiani, De Zerbi spiega il motivo principale del suo silenzio: «Sono caduto in mezzo a una diatriba tra Lele Adani e un gruppo di giornalisti. Mi hanno attaccato per colpire lui, e questo mi ha infastidito molto». Ha così scelto di chiudersi, preferendo non alimentare polemiche. Tuttavia, sottolinea: «Non voglio piacere a tutti, non devo andare d’accordo con tutti, ma se parlo lo faccio sempre con sincerità e rispetto».
Questo atteggiamento, tuttavia, non gli ha impedito di mantenere saldi i propri valori, tanto che recentemente ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Foggia, una città a cui è profondamente legato per il suo passato da giocatore e allenatore. Questo riconoscimento rappresenta per lui un premio che va oltre il calcio, toccando le radici familiari e i valori personali: «Valeva la pena comportarsi così», afferma con orgoglio.
Esperienze internazionali, guerra e riflessioni sul calcio italiano
De Zerbi ha vissuto esperienze intense fuori dall’Italia, tra cui Marsiglia, Brighton e l’epopea allo Shakhtar Donetsk. Racconta con lucidità il dramma vissuto in Ucraina durante lo scoppio della guerra: «Siamo stati chiusi in un bunker per cinque giorni, vivendo momenti di grande paura. Mi sono preso cura dei giocatori come se fossero miei figli». La sua scelta di restare fino all’ultimo momento ha suscitato un’intensa lettera della figlia, che ha compreso il valore umano della sua decisione.
Riguardo al calcio italiano, De Zerbi esprime con franchezza una riflessione critica sulla assenza ai mondiali per due edizioni consecutive: «È un periodo storico difficile, facciamo fatica a sfornare giocatori di alto livello. Non è colpa solo degli allenatori, ma di tutto il sistema». Evidenzia come altri paesi siano riusciti a rinnovarsi, mentre l’Italia sembra in difficoltà nel generare talenti di primo piano.
Sul piano tattico, respinge con fermezza l’etichetta di “giochista” intesa in senso negativo: «Il calcio non è fatto di schemi rigidi, ma di principi di gioco che danno una lingua comune alla squadra». Questo approccio rappresenta la sua visione tecnica, orientata alla flessibilità e all’adattamento in partita.
Passioni, città e valori
Oltre al calcio, emerge un lato personale di De Zerbi, che ha una profonda passione per la musica, in particolare per Vasco Rossi: «Quando Vasco canta tutto si ferma. La sua coerenza e la sua capacità di emozionare sono per me esempio di autenticità».
Parlando di città, De Zerbi descrive Marsiglia come un luogo «unico e speciale, multiculturale, con grandi contraddizioni ma anche con un calore umano che poche piazze offrono». Anche Brighton, seppur meno calorosa, gli ha lasciato un ricordo positivo per la gentilezza della gente, nonostante il clima rigido.
Infine, riflette sul suo carattere ribelle, nato da una precoce indipendenza: «Sono andato via di casa a 14 anni, ho dovuto imparare subito a gestirmi da solo. Questo mi ha dato una autonomia che poi si è tradotta in una forte determinazione a decidere da me cosa è giusto e cosa no».
L’intervista restituisce un ritratto di De Zerbi come uomo e allenatore profondamente coerente con se stesso, capace di un equilibrio tra rigore professionale e umanità, tra passione per il calcio e attenzione per la dimensione personale di chi lo vive.






