La Supercoppa non è solo una coppa da mettere in bacheca: per il Napoli è una fotografia nitida di un’identità che si sta facendo riconoscere. A Riad, contro il Bologna di Vincenzo Italiano, gli azzurri vincono 2-0 e si prendono il titolo con una prestazione che, più che “bella”, è stata chiara: ritmo, aggressività, scelte nette. E soprattutto una sensazione nuova, difficile da ignorare: il Napoli ha smesso di cercarsi e ha iniziato a imporsi.
Il match si decide con la doppietta di David Neres, un gol per tempo, ma ridurre tutto a due fiammate sarebbe ingiusto. Perché la partita racconta anche il modo in cui Conte vuole la sua squadra: corta, intensa, pronta a strappare e ripartire, con pochi fronzoli e tanta sostanza. In una finale secca, è spesso la differenza tra chi “fa la partita” e chi “fa il trofeo”. E il Napoli, stavolta, ha fatto entrambe le cose.
Neres, da talento intermittente a arma totale in Supercoppa
Se c’è un volto che illumina questa Supercoppa è quello di Neres. Due gol, certo. Ma soprattutto un messaggio: quando il brasiliano è dentro il meccanismo, diventa un acceleratore che spacca le partite. Non è più solo l’esterno che prova la giocata: è un giocatore che legge i tempi, sa quando attaccare la profondità e quando venire dentro al campo, alternando ‘strappo’ e ‘controllo’ con una maturità che fino a poco fa si vedeva a intermittenza.
La cosa più interessante, per chi guarda oltre l’highlight, è che oggi Neres sembra “comodo” in una squadra che chiede disciplina. È un dettaglio enorme. Perché nel calcio di Conte l’estro non viene cancellato: viene incanalato. E quando funziona, l’esterno diventa imprevedibile senza diventare anarchico. In una stagione fatta di incastri, gerarchie e pressioni, questo salto mentale pesa quasi quanto il gol.
Højlund, il centravanti che fa respirare la manovra
Dentro questa fotografia, c’è anche Rasmus Højlund. Non serve sempre il tabellino per capire che un attaccante sta salendo di livello: a volte bastano i movimenti, il lavoro spalle alla porta, la capacità di “tenere su” la squadra quando serve ossigeno. Højlund, in questo Napoli, sta diventando un riferimento più stabile: attacca gli spazi, trascina i centrali, apre corridoi e rende più logica la presenza degli esterni.
Ed è qui che si vede la mano dell’allenatore: Conte ama i centravanti che non sono solo finalizzatori ma anche facilitatori. Se Højlund continua a crescere in letture e continuità, il Napoli guadagna una cosa che vale oro: verticalità senza perdere equilibrio. È la differenza tra un attacco “a fiammate” e un attacco che produce occasioni con regolarità.
Conte e la ‘squadra che sa chi è’
La Supercoppa, in sintesi, sembra dire questo: il Napoli sta entrando nella fase in cui le idee diventano abitudini. Non è un dettaglio da tattici: è la chiave dei cicli vincenti. Conte ha bisogno che ogni giocatore sappia cosa fare anche quando la partita “sporca” i piani. E contro il Bologna — squadra organizzata, abituata a toglierti certezze — il Napoli ha risposto con una compattezza da squadra matura.
Il trofeo, ovviamente, non risolve tutto. Ma dà peso specifico a una sensazione: quando un gruppo inizia a vincere partite che contano, spesso cambia anche lo sguardo su se stesso. E questo Napoli, a Riad, ha alzato una coppa e insieme ha alzato un cartello luminoso: ‘qui c’è un’idea, e adesso si vede’.






