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Raccontare in movimento: da dove viene e dove va il giornalismo mobile?

LEGGI QUI LA SECONDA PARTE

Il Mobile Journalism, costola del videogiornalismo o futuro indipendente?

Il Mobile journalism o Mojo è una forma di narrazione digitale pensata, prodotta e post-prodotta tramite l’utilizzo esclusivo di device portatili di ultima generazione, quali gli smartphone e i tablet.

Tutto ruota attorno ai leggeri apparecchi elettronici impiegati, non solo per scattare istantanee o realizzare video, ma anche per montare il servizio.
È tuttavia estremamente difficile darne una descrizione completa ed esauriente in quanto trattasi di una materia fluida e giovane, che varia cavalcando l’onda dei cambiamenti e delle innovazioni del mondo della tecnologia. La definizione maggiormente impiegata in ambito giornalistico riporta: “Il Mobile journalism è un nuovo flusso di lavoro per la narrazione dei media dove i giornalisti sono formati e attrezzati per essere completamente ‘mobili’ e indipendenti”.

I professionisti che adottano questa forma di narrazione digitale hanno il vantaggio di focalizzare il proprio operato su un device che, oltre ad essere molto pratico e leggero, non pone limiti alla creatività. Le ridotte dimensioni dello smartphone permettono, infatti, di realizzare scatti e riprese anche da angolazioni difficilmente raggiungibili utilizzando una telecamera convenzionale.

Un altro punto a favore dell’apparecchiatura portatile è la versatilità. Sullo stesso attrezzo utilizzato per la produzione e la post-produzione delle immagini, infatti, possiamo pensare di diffondere i nostri contenuti via social o piattaforme di delivery facilmente raggiungibili attraverso un’app.
Inoltre, lo strumento è estremamente comodo per essere utilizzato, al tempo stesso, come microfono e registratore, con la possibilità di implementare la relativa traccia audio direttamente nell’app di editing.

 

UGC, Citizen Journalism e Mobile journalism

La facilità di produzione e diffusione di materiale audiovisivo attraverso smartphone e tablet ha, soprattutto nei primi anni, messo alle strette la capacità del giornalismo di poter documentare le notizie (soprattutto riferite a calamità naturali, incidenti stradali, fatti di grande immediatezza): moltissimi contenuti generati dagli utenti, conosciuti con il termine inglese User Generated Content (UGC), hanno ben presto raggiunto un interesse mediatico tale da considerare questa tendenza una vera e propria forma, nuova e per certi versi inaspettata, di giornalismo: il Citizen Journalism, il giornalismo fatto dai cittadini.

L’impennata di questi contenuti, resi immediatamente disponibili attraverso piattaforme note quali YouTube, Vimeo, DailyMotion, ha registrato due tipi di atteggiamenti sull’editoria digitale: da una parte, si è assistito alla nascita di portali ad hoc, come è stato per YouReporter, dall’altra è stata registrata una sorta di ingordigia delle testate giornalistiche online (ma anche televisive) che da subito hanno approfittato di immagini disponibili sulla rete e replicabili sui propri canali, di fatto, a costo zero, con buona pace della qualità del video e della cifra editoriale dello stesso. Due aspetti che, dopo qualche anno di crisi, sono tornate a recitare il proprio ruolo.
Già, perché anche su uno schermo di uno smartphone il giornalista può far valere le proprie competenze: l’individuazione immediata della notizia, le modalità di raccontarla, la conoscenza del medium e della testata attraverso le quali verrà diffusa.

Sono dinamiche che incidono molto quando, nella fruizione della notizia, l’utente ne entra in contatto. Difficilmente, per essere più chiari, si potrà raggiungere l’immediatezza di un video UGC che documenti un fiume in piena, o il crollo di un palazzo. Ma è altrettanto difficile che il pubblico possa preferire un video UGC a un contenuto prodotto da un giornalista quando si tratta di raccontare i danni causati da quel fiume o da quel crollo, i disagi vissuti dalla popolazione, la disperazione. A parità di strumento, insomma, il giornalista torna ad essere al centro della produzione di contenuti con valore editoriale. (continua)

 

di Jennifer Caspani  (1 di 3)

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Tags: lavoro

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