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Il Citizen Journalism: quando il cittadino diventa giornalista.

Essendo il mobile journalism una forma di narrazione digitale pensata, prodotta e post-prodotta tramite l’utilizzo esclusivo di device portatili di ultima generazione, quali gli smartphone e i tablet, è chiaro che almeno inizialmente la diffusione su larga scala di questa tipologia di dispositivi, dotati di fotocamera, abbia messo a dura prova l’efficacia documentativa di questa fresca corrente giornalistica.

Con l’avvento di Internet e successivamente delle tecnologie di ultima generazione, tutti i cittadini in possesso dello smartphone sono diventati dei potenziali ‘nuovi giornalisti’.

Proprio grazie ai contenuti realizzati dagli utenti e poi caricati in rete, i cosiddetti User Generated Content (UGC), negli anni della diffusione degli smartphone si è venuta a creare una vera e propria nuova forma di giornalismo realizzata direttamente dai cittadini: il citizen journalism.

 

Rapidamente Internet è stato invaso da documentazioni audiovisive che hanno fin da subito attirato un vasto interesse mediatico. Nonostante non siano realizzati da professionisti, gli User Generated Content vantano dell’immediatezza dell’informazione il vero punto di forza di questa nuova corrente giornalistica non professionale.

Quello che, però, poteva sembrare, almeno inizialmente, il ‘tallone d’Achille’ del mobile journalism è in realtà diventato il suo vero punto di forza.

 

Il citizen journalism e i portali nati con il suo avvento

Il fenomeno del citizen journalism e i suoi contenuti freschi e immediati hanno fin da subito attirato l’attenzione delle testate giornalistiche online e dei notiziari televisivi: la possibilità di integrare il proprio canale di informazione con video autentici e per di più gratuiti, realizzati seppur amatorialmente dai cittadini, ha inizialmente lasciato in secondo piano i contenuti creati dai professionisti.

Il successo degli User Generated Content, caricati inizialmente su note piattaforme, quali YouTube, Vimeo, DailyMotion ha portato anche alla nascita di veri e propri portali di citizen journalism, primo tra tutti in Italia YouReporter, dove i cittadini hanno avuto la possibilità di caricare facilmente e liberamente i propri contenuti multimediali.

Lo sviluppo di queste nuove piattaforme di giornalismo partecipativo ha di fatto annullato la distinzione tra fruitore finale e autore: le persone comuni, da semplici destinatari delle notizie, si sono trasformate in scrittori dell’informazione, avendo la possibilità di guadagnare visibilità quando artefici di contenuti innovativi e originali in grado di catture l’attenzione degli utenti.

Le principali piattaforme di citizen journalism in Italia: YouReporter, Blasting News e AgoraVox

YouReporter è la principale piattaforma di citizen journalism italiana, con sede a Milano. Il portale, fondato da Angelo Cimarosti, Luca Bauccio e Stefano De Nicolo e avviato nel mese di aprile 2008, dà voce ai cittadini: raccoglie al suo interno un’ampia quantità di video e contenuti multimediali caricati e realizzati dagli stessi cittadini.

Blasting News, invece, è un social magazine globale che dà la possibilità ai cittadini di diventare dei reporter, ricevendo un compenso in denaro calcolato in base alle visualizzazioni di ogni singolo contenuto giornalistico pubblicato.

A differenza di YouReporter, tuttavia, gli articoli possono essere caricati solo da chi viene approvato come autore.

AgoraVox, invece, è nato in Francia nel 2005, sulla scia della grande mole di informazioni e dati generati da un evento catastrofico verificatosi l’anno precedente: lo Tsunami nell’Oceano Indiano. Il portale è frutto dell’ingegno di Carlo Revelli, che capì l’esigenza di fondare nuovi portali in grado di racchiudere le testimonianze dei cittadini.

Gli articoli caricati dagli utenti su AgoraVox vengono successivamente valutati dai moderatori della piattaforma. Si diventa moderatori dopo essersi visti approvare almeno 4 pubblicazioni.

 

Il successo del citizen journalism ha resistito nel tempo?

Con il tempo, il successo del citizen journalism è andato man mano affievolendosi. La grande mole di pubblicazioni con video e reportage amatoriali ha scatenato nei lettori una ricerca ‘silenziosa’ di servizi di maggior qualità.

Hanno così riguadagnato terreno i contenuti giornalistici realizzati da professionisti, in grado di offrire una visione completa e dettagliata dell’intera notizia.

Se è vero, da un lato, che gli User Generated Content possono essere più chiari e immediati in caso di avvenimenti non prevedibili, quali disastri dovuti a calamità naturali, è altresì vero che solo i servizi con taglio editoriale, sebbene non tempestivi, possono informare i lettori riguardo i dettagli di ogni specifico avvenimento.

Gli UGC non possono dunque definirsi una minaccia per il giornalismo e per la sua forma più ‘tascabile’, ossia il Mojo: il pubblico ha infatti registrato una sorta di selezione naturale in merito alla qualità dei contenuti dai quali trarre informazione, facendo “rientro a casa” e tornando ad affidarsi ai professionisti. I quali, tuttavia, è bene traggano lezione da quanto vissuto: capita, infatti, che attraverso alle nuove tecnologie siano proprio coloro i quali si trovano allo step finale della filiera a ribaltare l’ordine trovando modi e linguaggi più rapidi e funzionali degli editori o dei giornalisti stessi, troppo spesso attardatisi dietro ad autoreferenzialità o scarsità di aggiornamento.

Gli UCG, in conclusione, continueranno a esistere e a generare archivi multimediali preziosi laddove il giornalismo non riuscirà ad arrivare. Ma la qualità resta elemento dirimente sul quale puntare per segnare la differenza, netta, fra un giornalismo certificato e uno “citizen”.

Jennifer Caspani

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