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Fake news, cosa sono e come si smascherano

Le fake news sono notizie costruite a partire da fonti di informazioni, non necessariamente giornalistiche, che “inventano del tutto le informazioni, disseminano contenuti ingannevoli, distorcono in maniera esagerata le notizie vere”. Questa definizione è di Melissa Zimdars, docente di comunicazione al Merrimack College negli Stati Uniti, e promotrice del progetto OpenSources, nato per mappare ‘fonti false, ingannevoli, clickbait o satiriche’. Per smascherare le fake news è necessario:

  1. Provare che le affermazioni asserite sono false.
  2. Provare che la falsità dell’informazione è intenzionale.

Il primo passo per smascherare le fake news è dimostrare la falsità dell’informazione, partendo dai fatti. Un importante principio da tenere presente, infatti, è che il fact checking riguarda i fatti, ovvero azioni che sono state compiute. Le opinioni invece non sono fatti, anche se spesso vengono riportate come tali. Possono essere estreme, improbabili o nettamente schierate, possono citare o basarsi su una serie di fonti più o meno verificate, ma non sono fatti e quindi non possono essere considerate come fake news. Per essere qualificato come falso un articolo deve contenere significative inesattezze, che possono essere identificate usando una serie di tecniche di controllo. Tali tecniche possono andare dalla semplice ricerca di più di una fonte su qualsiasi argomento a pratiche di verifica più sofisticate. Il fact checking non è di dominio esclusivo dei giornalisti, basta che chiunque fruisca delle notizie abbia un sano grado di scetticismo. Il modo più veloce è controllare su Google o su altre fonti online se la notizia è stata ripresa, se è veritiera o se è stata già smentita. Se nessuno ha smentito un fatto però non significa che sia vero. Soprattutto nei casi in cui la notizia venga letta sui social network, bisogna controllare il nome della testata perché esistono molti siti di fake news con nomi somiglianti a quelli di testate giornalistiche note.

Verificare se i fatti riportati dalla notizia sono accaduti o se i dati riportati sono corretti può essere relativamente semplice, ma occorre anche determinare l’intenzionalità dell’autore dell’articolo. Per questo motivo, una volta identificati gli errori fattuali, bisogna farsi altre domande.

  1. L’errore è stato corretto in tempi ragionevoli?
  2. In caso contrario, l’autore sapeva che si trattava di un errore?
  3. In caso negativo, era possibile evitare l’errore effettuando le dovute verifiche?

Pubblicare una correzione entro un arco di tempo ragionevole indica che l’errore non è stato deliberato e quindi non si qualifica come fake news. Chi produce involontariamente un’informazione falsa tende poi a rettificarla o integrarla appena emergono nuovi elementi. Lo stesso non vale per chi vuole diffondere disinformazione in maniera consapevole.

Ecco uno schema riassuntivo del metodo da usare per smascherare le fake news.

Il rapporto dell’Agcom: i temi caldi della disinformazione

L’Agcom ha pubblicato a marzo 2019 un report, primo numero dell’Osservatorio sulla disinformazione online, che sottolinea come da gennaio a dicembre 2018 la produzione di disinformazione sia stata mediamente più alta rispetto agli anni passati, con picchi che hanno riguardato soprattutto la campagna elettorale per le elezioni politiche del 4 marzo 2018 e la successiva formazione del nuovo governo. Secondo la ricerca, le categorie più a rischio sono state la cronaca, che ha raccolto da sola il 34% del totale dei contenuti disinformativi, e la politica, 19%. Anche l’informazione scientifica è stata vittima di bufale con scienza e tecnologia al 18%. L’ipotesi del report, confermata dalle evidenze dell’Osservatorio, è che la disinformazione online riguardi soprattutto temi caldi che tendono a polarizzare l’opinione pubblica o che hanno un particolare impatto emotivo. L’Autorità Garante ha individuato alcune delle tematiche più a rischio nel primo e nel secondo semestre 2018: al primo posto ci sono gli argomenti inerenti alla politica e al governo. L’economia, invece, si è collocata tra il terzo posto nel primo semestre e il secondo nel successivo. «Governo», «Salvini», «Italia» sono le parole più usate nei siti che fanno disinformazione online, ma tra i termini più utilizzati non mancano ‘meteo’ o ‘ufo’, confermando che le notizie scientifiche sono tra quelle più a rischio di disinformazione, probabilmente per la difficoltà di fare verifiche su argomenti che richiedono conoscenze tecniche. L’immigrazione, secondo il rapporto, è insieme al terrorismo uno dei temi che più è stato oggetto di disinformazione online nei mesi di preparazione alle europee del 2019, dimostrando come argomenti dal forte impatto emotivo siano spesso il soggetto privilegiato per la produzione e la viralizzazione di bufale, fake news e disinformazione online.

https://www.agcom.it/documents/10179/14174124/Documento+generico+06-03-2019/bbd57501-5b68-4f58-9728-5a65ffcb8f70?version=1.0

Foto fake

Una foto o un video possono catturare l’attenzione con molta più forza della parola. Per rendere più credibile una fake news, vengono spesso usate foto che non c’entrano nulla con il fatto di cui parlano: possono riguardare un evento simile successo in un altro luogo molti anni prima o riferirsi a un fatto completamente diverso, ma che associato alla foto assume un nuovo significato, distorto rispetto alla realtà. Capita spesso di imbattersi, soprattutto sui social network, in notizie con una breve descrizione sotto una fotografia, condivise direttamente da una pagina del social network e senza link esterni. In questi casi può essere d’aiuto Google con la sua ricerca per immagini. Per verificare l’attendibilità bisogna salvare l’immagine dal contenuto sospetto, andare sul motore di ricerca, cliccare l’icona della macchina fotografica e poi su “carica un’immagine”, quindi inserire la fotografia. Quasi certamente vi apparirà l’immagine con la reale descrizione. Oltre a Google Reverse Image Search, ci sono strumenti come TinEye, RevEye o Yandex che permettono di caricare un’immagine, via file o via URL, per trovarla in tutti i siti che l’hanno pubblicata. In questo modo si può capire se le foto si riferiscono alla notizia oppure sono immagini prese da altri contesti o di anni prima e utilizzate ad arte per dare credibilità alla notizia.

L’ultima frontiera: il ‘deep fake’

A differenza delle foto e delle immagini, più facili da manipolare, i contenuti video sono più difficili da modificare in modo sostanziale, escludendo tagli ed editing. Il video è stato spesso considerato la prova che ciò che si sta vedendo è realmente accaduto. Almeno fino a poco tempo fa. In futuro i video ‘deep fake’ potrebbero cambiare questa convinzione. Con ‘deep fake’ si intende la tecnologia, basata sull’intelligenza artificiale e sul deep learning, che può essere usata per alterare un video mostrando un contenuto che non è presente nel filmato originale. In sostanza il software di intelligenza artificiale allinea le immagini dei volti le une sulle altre e le fonde. Il computer passa in rassegna centinaia di immagini tratte da riprese video, identifica i volti, analizza come sono illuminati e quali espressioni adottano. Quando ha analizzato a fondo le facce con le quali sta lavorando, utilizza questa conoscenza per cucirle l’una sull’altra, sincronizzando movimenti, espressioni e labiale. Se le immagini di base sono chiare e di buona qualità, la metamorfosi artificiale rasenta la perfezione. Il ‘deep fake’ usa algoritmi di apprendimento automatico combinati con software di mappatura facciale ed è una tecnologia molto complessa, ma relativamente facile da usare, perché non bisogna essere degli esperti per produrre un falso credibile, pensa a tutto il software. Un esempio di tecnologia ‘deep fake’ è stato fornito dai ricercatori dell’Università di Washington che hanno usato l’intelligenza artificiale per analizzare con precisione i movimenti della bocca effettuati dall’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama mentre parla. In questo modo diventa possibile inserire in un video l’audio che si vuole modificando il labiale del volto che parla. Questa tecnica permette di mettere qualsiasi parola nella bocca di Obama.

https://www.youtube.com/watch?v=cQ54GDm1eL0

http://grail.cs.washington.edu/projects/AudioToObama/

Perché le fake news si diffondono più facilmente sui social network

I social media si basano su algoritmi che determinano la modalità di diffusione dei contenuti. Le informazioni fornite tramite Newsfeed di Facebook, Google e Twitter, vengono selezionate e classificate in base a algoritmi complessi che sono stati codificati per ordinare, filtrare e distribuire i contenuti in un modo da massimizzare il coinvolgimento degli utenti e il tempo trascorso sulla piattaforma. I modi in cui gli algoritmi selezionano e assegnano priorità alle informazioni portano alla personalizzazione dei contenuti, limitando il flusso di informazioni a ciò che l’algoritmo seleziona.

Inoltre, la maggior parte del filtro delle informazioni che si svolge sui social media non è il prodotto delle scelte consapevoli degli utenti umani. Piuttosto, ciò che compare nei feed dei social media e nei risultati sui motori di ricerca è il prodotto di calcoli fatti da algoritmi e modelli di apprendimento automatico, i quali personalizzano i contenuti per rispecchiare gli interessi individuali dell’utente. Sui social network, anche per quanto riguarda le notizie, è un codice algoritmico complesso a determinare quali informazioni mostrare o escludere. La popolarità e il grado di viralità di una notizia sono sempre più importanti nel determinarne la diffusione, a prescindere dalla veridicità dell’informazione. Oltre agli algoritmi, i social media si basano sulla raccolta dei dati degli utenti e sulla loro vendita alle aziende, per consentire di comprendere meglio le popolazioni di utenti, offrendo alle aziende la possibilità di creare e trasmettere messaggi mirati a tali popolazioni. È il motivo per cui gli account dei social media sono gratuiti: le persone che si iscrivono ai loro servizi pagano con le loro informazioni personali. Questo tipo di modello di stampo pubblicitario contribuisce alla diffusione delle fake news perché premia il contenuto virale. Quest’ultimo può essere ottenuto tramite il fenomeno del clickbait, ovvero attirare l’attenzione, stimolando nel lettore indignazione, curiosità o semplicemente una risposta emotiva, in modo da incoraggiare i gli utenti a fare clic su un link a una pagina web.

Matteo Bruzzese – Alanews

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