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Come funziona il Mobile Journalism?

LEGGI QUI LA PRIMA PARTE

Il Mojo permette di realizzare contenuti giornalistici beneficiando di un’attrezzatura estremamente conveniente e portatile. Per realizzare video di alta qualità è necessario disporre, oltre dello smartphone, di un’app nella gestione della fotocamera, quindi nella ripresa, e una di editing (entrambe scaricabili direttamente sul proprio dispositivo portatile), possibilmente di un microfono esterno, di un treppiede e di una luce esterna. Il kit completo, oltre ad avere un costo sostanzialmente inferiore rispetto a quello necessario per l’acquisto di una telecamera TV entry-level, è comodamente trasportabile all’interno di un comune zaino. L’intera attrezzatura, infatti, pesa mediamente meno di 3Kg e permette ai giornalisti mobile (cosiddetti Mojoer per gli addetti ai lavori) di produrre storie di alta qualità ovunque si trovino, avendo a disposizione i mezzi necessari per registrare video anche in scarse condizioni di illuminazione.

Essendo poi lo smartphone un device elettronico di comune impiego, il suo utilizzo gioca a vantaggio del professionista, in quanto dispone di un mezzo di ripresa meno intimidatorio per gli eventuali intervistati, rispetto alle comuni videocamere. Uno studio, condotto dal giornalista finlandese Panu Karhunen, ha infatti dimostrato che gli individui sono più propensi ad accettare di interloquire con i giornalisti e ad aprirsi con maggiore disinvoltura quando inquadrati con device di loro conoscenza.

I limiti derivanti dall’utilizzo dello smartphone

Il Mojo, oltre ai numerosi vantaggi descritti precedentemente, comprende alcuni limiti circoscritti soprattutto all’utilizzo esclusivo dello smartphone, non disponendo dell’attrezzatura complementare. Alcuni telefonini sono infatti sprovvisti della stabilizzazione ottica, elemento chiave che contraddistingue un prodotto professionale da un video amatoriale. Per ovviare a questa mancanza è necessario dotarsi di un semplice treppiedi in grado di ottimizzare le riprese, riducendo al minimo il rischio di realizzare video traballanti. Dotando il device di un microfono esterno, è inoltre possibile eludere tutte quelle problematiche derivanti dalla bassa qualità audio dei filmati realizzati quando i soggetti dell’intervista sono disposti a una distanza maggiore di un metro. Questo piccolo accorgimento limita sostanzialmente anche i rumori di fondo presenti in filmati prodotti in luoghi affollati e rumorosi.

immagini: FuJomedia.it

Fondamentale è inoltre la scelta dello smartphone, sul quale si intende incentrare il proprio studio di produzione portatile. È consigliabile scegliere dispositivi dotati di obiettivi in grado di catturare video HD e immagini ad alta risoluzione. Proprio questa necessità porta a una riflessione, di matrice prettamente economica: al netto di accessori accessibili per tutte le tasche, la rincorsa allo smartphone più innovativo, foraggiata dalle ultime versioni delle app messe a disposizione solo sugli ultimi modelli, riduce di molto il divario tra l’investimento sul mobile journalism e quello su un videogiornalismo “classico” fatto con una handycam. Che dire, poi, dell’impossibilità di implementare memorie espandibili in alcuni dei telefonini di nuova generazione? Secondo molti, il montaggio di lungometraggi o di servizi giornalistici basati su un largo quantitativo di materiale raccolto non è consigliabile su uno smartphone, per un discorso di maneggevolezza e di memoria.
Che il workflow ideale stia dunque nel mix fra riprese effettuate con lo smartphone e un montaggio spostato sul PC portatile? A voi scegliere la procedura che più vi si addice.

di Jennifer Caspani (2 di 3)

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